Legno Vivo, un docu-film pericoloso

Dopo l’uscita del docu-film Legno Vivo – Xylella oltre il batterio, oltre ai tantissimi complimenti e ringraziamenti di cui siamo profondamente grati, ci sono arrivate diverse critiche, attacchi e insulti. Ce li aspettavamo, non solo perché l’argomento è difficile e controverso ma anche e soprattutto perché in gioco ci sono tanti interessi e parecchi soldini. Abbiamo fatto questo lavoro con onestà e professionalità e siamo pronti a rispondere a chiunque, con le dovute maniere, ne metta in discussione i contenuti. Per esempio questo articolo di Giuseppe Francesco Sportelli. Di seguito le principali critiche che ci sono state rivolte dal giornalista, con le relative repliche, che confidiamo siano riprese anche dalla rivista in questione.

I critica: abbiamo dato voce a opinionisti invece che adocenti universitari, ricercatori Cnr, agricoltoriche affrontano la malattia con metodo e rigore autenticamente scientifici

Forse il giornalista in questione non ha visto il docu-film perché tra gli intervistati vi sono: Marco Nuti, già ordinario di Microbiologia agraria nelle Università di Padova e Pisa, è professore emerito dell’Università di Pisa e affiliato alla Scuola Sant’Anna di Pisa, autore e co-autore di quasi 400 lavori scientifici sulle più importanti riviste del settore, ha collaborato con diverse agenzie delle Nazioni Unite e come membro del Comitato Scientifico della Commissione Europea e membro dell’Accademia dei Georgofili; Stefano Mancuso, Scienziato di prestigio mondiale, professore all’Università di Firenze, dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (LINV); Margherita Ciervo, docente di Geografia economica all’Università di Foggia; Marco Scortichini, batteriologo e dirigente di ricerca Crea-OFA, i cui studi sul tema Xylella sono stati recentemente pubblicati con regolare peer review che ne certifica la rispondenza ai criteri di scientificità e riproducibilità; Massimo Blonda, biologo e ricercatore del CNR; Margherita D’Amico, biologa e patologa vegetale, tecnologa al Crea; Pietro Perrino, già dirigente di Ricerca CNR, Direttore dell’Istituto del Germoplasma del CNR di Bari e membro task force della Regione Puglia su Xylella. Per citarne alcuni… l’elenco completo lo si può vedere qui. Sono più di 20 gli intervistati e tra loro, come potrete leggere, vi sono proprio quei docenti universitari, ricercatori Cnr, medici, giuristi, agricoltori e olivicoltori che inspiegabilmente si insinua che manchino.

II critica: i numeri dei monitoraggi. “Gli autori del docufilm – si legge nell’articolo – come tutti i negazionisti/complottisti, negano la presenza di unepidemia perché solo il 2% degli olivi è infetto, ma non dicono (in buona o in malafede?) che tale percentuale si riferisce alla zona di contenimento e che quindi è normale sia bassa”.

Non vi è nulla di negazionista nel riportare questo dato. La Xylella c’è, ma è presente in poche piante sul totale di quelle analizzate. A dirlo non è un gruppetto di negazionisti ma la stessa regione Puglia. E tale percentuale non si riferisce assolutamente alla sola zona di contenimento.

I dati ufficiali dell’ultimo monitoraggio 2018/2019 e i risultati delle relative analisi molecolari dimostrano che:

in zona infetta sono state campionate e analizzate 31.208 piante, di cui 779 sono risultate infette da Xylella fastidiosa, il che corrisponde al 2,5 % di piante infette sul totale;

in zona contenimento sono state campionate e analizzate 21.461 piante, di cui 214 infette, il che corrisponde all’ 1 % di piante infette sul totale;

in zona cuscinetto sono state analizzate 6.965 piante e – a parte la pianta di olivo di Monopoli risultata prima positiva e poi, in seguito al sequestro della Procura di Bari, negativa – nessun’altra pianta è risultata infetta dal batterio.

La fonte è l’Osservatorio Fitosanitario della Regione Puglia, che ha pubblicato questi dati a seguito di un’istanza di accesso agli atti, presentata dall’Associazione Terra d’Egnazia. Quindi, a meno che il giornalista non sia a conoscenza di monitoraggi diversi da quelli della regione Puglia, i numeri ufficiali per ora sono questi.

Il fatto che questi numeri e queste percentuali di piante infette dimostrano che non siamo difronte ad una epidemia, lo dice tra gli altri il dottor Giovanni Misciagna esperto epidemiologo di fama internazionale e membro della task force della Regione Puglia su Xylella, e non un gruppetto di negazionisti.

III critica: la relazione causale fra Xylella e disseccamento rapido degli olivi è incontrovertibile e lepidemia ampiamente documentata.

I dati sopra riportati e i comunicati ufficiali dimostrano il contrario. Ad affermarlo, ancora una volta, non sono gli autori del documentario ma i numeri ufficiali. Nel comunicato n. 3356 pubblicato il 4 aprile 2018 su www.regioni.it l’assessore all’Agricoltura della regione Puglia Leonardo Di Gioia afferma che “non esiste alcun boom di casi xylella, come dimostrano i dati”.

Anche autorevoli esperti come il dott. Misciagna, epidemiologo e componente della Task Force voluta dalla Regione Puglia, a proposito di questo, in suo ultimo scritto del 2019 ha dichiarato che “l’epidemiologia descrittiva del codiro e della Xylella e l’epidemiologia analitica causale del rapporto tra Xylella fastidiosa e disseccamento rapido dell’ulivo sono ancora agli albori in Puglia, per usare un eufemismo, e che l’abbattimento degli alberi di ulivo non ammalati, anche con la Xylella “presente” (tra virgolette, perché tutte le procedure diagnostiche sono, ci sembra,  abbastanza aleatorie), sia per lo meno prematuro. Non vorremmo che i nostri ulivi, che hanno resistito per secoli a intemperie di ogni tipo, donandoci i loro frutti benefici per la salute e la loro bellissima presenza, siano alla fine sterminati dalla ignoranza, stupidità e in qualche caso addirittura malafede dell’uomo”.

Molto strano che del pregevole lavoro del dott. Misciagna né la regione Puglia né il Comitato scientifico deputato dalla stessa Regione a occuparsi della questione Xylalla, tenga conto.

In genere quando si parla di “epidemie” gli epidemiologi dovrebbero essere coinvolti. Così come quando si parla di “batteri” si dovrebbe richiedere per lo meno il parere di batteriologi. Ma da quel che ci risulta, ad oggi, il Comitato scientifico in questione non ne presenta alcuno. 

IV critica: sempre sulla relazione causale fra Xylella e disseccamento rapido degli olivi, che a detta dell’autore è “unevidenza che si fonda su nove lavori sperimentalifinora mai smentitipubblicati su diverse riviste scientifiche…” e che proverebbe cheil batterio è capace, indifferentemente, di infettare olivi secolari ed estensivi, olivi intensivi, olivi superintensivi” etc.

Non sappiamo a che studi si riferisca il giornalista perché le fonti non sono citate, ma da quel che ci risulta, ad oggi, il primo (e unico) studio revisionato che ha cercato di mostrare il nesso Xylella-CoDiRO è apparso solo nel dicembre 2017 su Scientific Report, rivista del gruppo Nature (non di settore). L’obiettivo era verificare i 4 postulati di Koch che servono a stabilire se un agente (Xylella) sia causa di una malattia (il CoDiRO). L’esperimento, condotto in laboratorio, conta poche decine di piante, di non più di un anno di età. In genere, un solo studio e su pochi esemplari non basta per accertare un fatto scientifico con certezza: il metodo scientifico vorrebbe che ogni ricerca sia replicata e ampliata a un numero di campioni statisticamente significativo. Un’inchiesta di Laura Margottini sul Fatto Quotidiano – mai smentita – mette inoltre in luce le criticità del medesimo studio in relazione ai postulati di Koch che in questo caso non verrebbero pienamente soddisfatti. Detto ciò a noi non risultano ad oggi studi effettuati in pieno campo, su alberi secolari e millenari, in grado di stabilire questa correlazione. Così come non risultano pubblicazioni in grado di spiegare i dati ufficiali dei monitoraggi. Se le percentuali di piante che presentano il batterio sono così esigue di cosa stanno disseccando gli altri ulivi?

L’inchiesta a più puntate di Laura Margottini la si può leggere qui, qui, qui, qui, qui e qui. La replica invece non è ancora possibile averla.

V critica: lepidemia esiste e progredisce, sia colonizzando zone prima indenni sia espandendo i focolai puntiformi trovati nei precedenti monitoraggi.

Logica vorrebbe che si parlasse di avanzata del batterio qualora esistesse un’area indenne a seguito di un’indagine estesa, con valutazioni di tipo epidemiologico rispondenti ai criteri statistici di validità di un tale studio. Ad oggi però questo non esiste. E così è stata definita area indenne un’area semplicemente mai monitorata in precedenza. Questa zona è poi progressivamente avanzata verso nord man mano che il monitoraggio si estendeva in quella direzione e riscontrava dei positivi. Se detti positivi ci fossero da prima o se ce ne siano anche nelle campagne baresi e ancora più a nord, ad oggi non è scientificamente asseribile. In altre parole non c’è alcuna base scientifica per asserire che l’infezione sia avanzata e non sia un endemismo, con cui la Puglia convive da tempo (come diversi scienziati hanno affermato).

Allo stesso tempo, l’impossibilità di effettuare controanalisi o analisi in aree in cui il monitoraggio ancora non avviene, aumentano i rischi di basare l’eradicazione di migliaia di ulivi su numeri totalmente inaffidabili.

Il giornalista forse dimentica che solo grazie all’intervento della procura di Bari, a gennaio 2019, l’ulivo di Monopoli dichiarato infetto dalla regione Puglia, si è poi rivelato negativo a Xylella.

Se non fosse stato per l’intervento della giustizia quell’ulivo oggi sarebbe abbattuto così come tutti gli ulivi presenti nei 3 ettari circostanti e la zona contenimento sarebbe avanzata. Su che basi? Che affidabilità hanno questi monitoraggi? Non sarebbe opportuno forse chiederselo?

VI critica: si vorrebbe insinuare che sullo sfondo vi sia lintenzione di sostituire lattuale olivicoltura contadina con unaltra industriale…

Anche in questo caso non sono gli autori che insinuano, ma i documenti che parlano. Era il 2012 quando in un report di Confagricoltura si indicava in progetti di “ristrutturazione degli oliveti obsoleti” un passaggio imprescindibile per “trasformare l’importante dimensione produttiva pugliese in una maggiore capacità di aggredire i mercati internazionali”[1]. C’è chi 13 anni fa pronosticava la creazione di “oasi paesaggistiche di olivicoltura protetta nelle quali conservare parte dal patrimonio olivicolo”[2], chi chiedeva di rivedere le leggi nazionali sul divieto di abbattimento degli alberi d’ulivo definendole “datate, da economia di guerra e contadina”, chi affermava che “in un mercato dell’olio d’oliva che tende a diventare globale sarebbe presuntuoso pretendere che siano gli olivicoltori italiani a stabilire qualità e prezzo di vendita dell’olio per consumi di massa”. La soluzione prospettata? L’abbattimento dei costi, a partire dall’impiego della manodopera.

“Gli olivicoltori italiani, per restare sul mercato, dovranno essere messi in condizioni di arrivare a produrre olio extravergine da vendere a 3 euro al kg guadagnandoci! Si può fare, ma il raggiungimento di questo obiettivo comporterà l’assunzione di scelte anche dolorose, assolutamente nuove, con conseguenze anche importanti in termini di tempi, tagli, sacrifici, rinunce e in molti casi anche il paesaggio verrà profondamente modificato. Adesso una prospettiva c’è, viene (è vero) dalla Spagna (…) mi riferisco al modello di olivicoltura superintensiva, l’unico finora a mio parere veramente innovativo, perché integralmente meccanizzabile dalla messa a dimora delle piante alla gestione del suolo, dalla potatura alla difesa, alla raccolta”.

Era il 2007 quando queste parole del professore Angelo Godini dell’Università di Bari comparivano su L’Informatore Agrario. Oggi, grazie alla Xylella tutto quello che fino al 2013 non si sarebbe mai potuto fare, sarà fatto. Non solo l’abbattimento di ulivi secolari e monumentali, prima tutelati dalla legge, ma anche e soprattutto la riconversione, imposta dalla legge, verso modelli produttivi intensivi e super intensivi.

Come afferma anche il giornalista “le uniche varietà che, al momento, risultano resistenti al batterio, seppur infettate da esso, sono la Leccino e la Fs-17 o Favolosa”.

Anche su questo punto però, ad oggi, non risulta nessuna pubblicazione scientifica che lo provi. Al contrario, lo stesso Osservatorio Fitosanitario che dopo la Decisione di esecuzione Ue 789 del 2015, ha disposto la deroga al divieto di reimpianto dando il via libera a Leccino e FS17 (Favolosa) perché – si legge nel documento dell’Osservatorio – resistenti a Xylella fastidiosa ha tenuto a precisare, nel medesimo documento, che su queste cultivar “non si hanno ancora a disposizione dati riferiti al lungo periodo sia in tenuta della resistenza nel tempo e sia in termini di produttività”. Come a dire: piantatele ma sappiate che non vi sono prove – né tantomeno pubblicazioni scientifiche – che ne attestino l’effettiva resistenza. Resistenza che non comporta la scomparsa del batterio, in quanto presente ormai in molte altre specie ospiti, comprese quelle tolleranti. Dettagli non di poco conto se si pensa che tanti olivicoltori stanno affidando il loro lavoro proprio a questi alberi e che tanti milioni in arrivo dall’Unione Europea verranno dedicati al loro reimpianto.

Intanto una pubblicazione[3], a quanto pare passata in sordina, dimostrerebbe che la Coratina, cultivar di ulivo tipica pugliese (al contrario della Leccino e della Favolosa), sarebbe alquanto più resistente a Xylella del Leccino. Ma di questo né l’Osservatorio né la Regione Puglia parlano.

VII critica: sullo “sbandieramento” del termineagromafia”…

In Italia, ogni anno, Eurispes (l’Istituto di ricerca Italiano), Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare elaborano il Rapporto Agromafie. Nel III Rapporto (2015) si dedica un capitolo intero alla questione Xylella intitolandolo “Lo strano caso della Xylella fastidiosa” in cui emerge che “siamo di fronte ad un vero e proprio assalto al Salento”. Anche nel IV Rapporto (2016) si afferma che la Xylella Fastidiosa non è riferibile solo ad una problematica di tipo agronomico e, neppure, ad uno specifico territorio, il Salento: ma ha una valenza che ammette letture più estensive, coinvolgenti anche le trasformazioni dell’agricoltura nel mondo, i controlli del mercato alimentare e le possibili speculazioni, anche internazionali”, definendo “coraggiosa” la partecipazione dei cittadini e associazioni di volontariato. “Per fortuna – si legge – ci sono anche tanti cittadini, tante associazioni di volontariato che presiedono il territorio, lo difendono, informano, confliggono con i poteri forti, pagandone le conseguenze in termini economici quando non in termini di minacce fisiche e psicologiche”.

I due rapporti, estremamente interessanti, si possono trovare QUI e QUI. A sbandierarli non siamo noi, ma Eurispes, Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

VIII critica: “boicottando leradicazione delle piante infette e di quelle comprese nel raggio dei 100 m da quella infetta e con i due trattamenti insetticidi contro i vettori boicottiamo la lotta al batterio…”

Ad oggi in realtà non vi è alcuna pubblicazione scientifica, né tantomeno dimostrazione empirica, dell’efficacia di queste misure. Tant’è che nei Paesi in cui è riscontrato il batterio (Spagna, Francia, Portogallo, Toscana etc.) le misure imposte in Puglia non vengono applicate. L’Eppo, l’European and Mediterranean Plant Protection Organization, parla sì di eradicazione del batterio ma solo in determinati casi: nel caso in cui questo sia limitato nello spazio, nel tempo e nel numero di specie ospiti, e in presenza di garanzie di non reintroduzione del patogeno (per esempio controlli portuali e aeroportuali). Ovviamente si tratta di condizioni lontanissime dalla situazione pugliese.

Come ha affermato anche l’Efsa (2013, 2015) “non è nota alcuna strategia precedente che abbia avuto successo nell’eradicazione di Xylella fastidiosa, una volta insediatasi all’aperto”[4]. Nei Paesi in cui queste misure sono state applicate (per es. Brasile e Taiwan) oggi si convive con il batterio[5].

IX critica: non portiamo alcuna soluzione alternativa validata scientificamente.

Quando il problema è complesso lo sono anche le soluzioni. E la questione Xylella ci mette davanti tutta una serie di criticità a cui ormai siamo inevitabilmente chiamati a fare i conti. È ormai scientificamente provato come l’agricoltura industriale abbia determinato la riduzione di carbonio organico nel suolo con conseguente perdita di fertilità ed effetti negativi sulla qualità dei suoli, sulla produzione e sulla qualità dei frutti. A livello ambientale si assiste ad un pericoloso inquinamento delle falde (nitrati, pesticidi, metalli pesanti), in un agroecosistema non più in equilibrio e vulnerabile agli stress abiotici e biotici (attacco di patogeni).

Al contempo sempre più ricerche scientifiche dimostrano che con il ceppo di Xylella pugliese si può convivere, che ulivi infetti non sono destinati a disseccare, che ulivi disseccati possono tornare a vegetare con semplici ed economiche buone pratiche agricole.

L’applicazione di pratiche sostenibili volte a migliorare la performance dei sistemi agricoli, aumentando la stabilità delle produzioni e riducendo i rischi per l’ambiente si rivela quantomai necessaria. Il mantenimento dell’ecosistema oliveto dovrebbe partire da una gestione che miri ad incrementare l’efficienza d’uso delle risorse (acqua, suolo) e la valorizzazione del paesaggio, nel rispetto dell’ambiente. L’importanza della componente biologica per la fertilità dei terreni è, infatti, ormai scientificamente assodata. Da essa dipende la capacità delle piante di reperire nutrimenti, acqua e energie necessarie per prosperare e difendersi dalle sempre più gravi criticità climatiche e da vecchi e nuovi agenti patogeni, compresa Xylella fastidiosa.

X critica: il documentario è un pericoloso strumento di confusione, unulteriore conferma della perdurante dannosa disinformazione da molti condotta, su un argomento così complesso, con incredibile disinvoltura, sciatteria e incompetenza.

È un documentario pericoloso. Sì, lo è. Lo è perché invita a una riflessione e a un approfondimento. Lo è perché va contro a una verità imposta dall’alto. Perché smaschera un sistema che fa comodo a molti. Perché mette i numeri sul tavolo e su quelli invita a fare i conti. I numeri di una tragedia che vede l’uomo vittima e carnefice di sé stesso. Quello che succede oggi in Puglia è lo specchio di un crollo che sta avvenendo ovunque: crollano gli ecosistemi, si deteriorano le relazioni sociali, svaniscono le economie locali e si perdono le culture e le colture tradizionali. Sullo sfondo il dio denaro, a cui oggi tutto si pospone. Stiamo barattando una manciata di finanziamenti pubblici con un patrimonio di inestimabile valore. Ma dirlo è pericoloso. Non sia mai che qualcosa inizi a cambiare.


 

[1] Dll n. 475 del 27-7-1945 e la legge n. 144 del 14- 2-1951 + la Legge Regionale n. 14 del 04-06-2007 “Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia” e la legge nazionale e il decreto legislativo luogotenenziale del 1945

[2] L’informatore Agrario Nº7/2009 pag. 66, “L’olivicoltura italiana deve innovarsi: “È ancora possibile partecipare al gioco”

[3] Isolation and pathogenicity of Xylella fastidiosa associated to the live quick decline syndrome in southern Italy, M. Saponari1, D. Boscia1, G. Altamura e altri, Dicembre 2018, pag. 8

[4]  L’EFSA (2013, p. 25) aveva già chiarito che “There is no record of successful eradication of  X. fastidiosa once established outdoors. Due to the very wide  host range,  the  pathogen  may  persist  on natural  or  ruderal  vegetation  or  in  other  asymptomatic cultivated  hosts.  Vector  species  are  generally  polyphagous,  therefore  insecticide  treatment  on a specific  host  crop  will  not  eliminate  the  infective  vector(s)  from  several  other  (wild)  hosts  in  the environment, thus increasing the difficulties for eradication”.

(https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2013.3468).

[5] L’EFSA (2015, p. 5) ribadisce “A thorough review of the literature yielded no indication that eradication is a successful option once the disease is established in an area. Past attempts, in Taiwan and in Brazil, proved unsuccessful, probably because of the broad host range of the pathogen and its vectors. Therefore, the priority should be to prevent introduction.

2 pensieri su “Legno Vivo, un docu-film pericoloso

    1. Buonasera Costantino,
      in Puglia ci saremo agli inizi di febbraio:
      1 feb. h18.30 ZOLLINO
      Laboratorio Urbano Salento Km0 – To Kaló Fai, Via della Repubblica, 22
      6 feb. h19.00 BARI
      Anche Cinema, Corso Italia, 112
      7 feb. h19.00 CISTERNINO
      (luogo da definire)
      8 feb. h10.00 MESAGNE
      Auditorium Liceo Ferdinando, Via Eschilo, 1
      8 feb. h18.00 BRINDISI
      Sala Università, Palazzo Nervegna, Via Duomo, 20
      9 feb. h20.00 LECCE
      Manifatture Knos, Via Vecchia Frigole, 36

      Per organizzare una nuova proiezione puoi scrivere a info@legnovivofilm.it.
      Grazie, Buona serata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *